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Dietro le sbarre: cosa sta succedendo nelle carceri italiane?

By 25 Ottobre 2021 No Comments

Articolo della Dott.ssa Magda Tresoldi

Il mondo recluso è un mondo invisibile, una realtà fatta di persone dall’esistenza complicata, che portano impressi sulla pelle e sul cuore i segni di una vita di scelte controverse, un universo di personaggi dalle
storie più svariate che può tuttavia offrire significativi spaccati di umanità: anche dietro le sbarre di una prigione la solidarietà e la capacità di cucire relazioni umane non sono valori totalmente assenti.
Parlare di carcere non è semplice, è una realtà complessa e ricca di contraddizioni, la riflessione in merito muove infatti lungo un continuum che vede contrapporsi due distinte polarità: da un lato è posto al centro
il detenuto, dall’altro l’organizzazione contraddittoria che caratterizza il sistema penitenziario.
“Il carcere è un’enorme banca del tempo”, così Pietro Buffa, provveditore regionale dell’Amministrazione Penitenziaria della Lombardia scrive nel suo ultimo libro, frutto di una pluriennale esperienza nel mondo carcerario. Trovare nuovi modi per utilizzare il tempo degnamente è di primaria importanza poiché esso costituisce da sempre per la popolazione reclusa un’ulteriore pena: le ore passano lente, inesorabili e
soprattutto vuote, diventando fonte di sofferenza.
Spesso il detenuto vede nella condanna un inevitabile destino di abbandono, ecco dunque come il contatto con il mondo esterno degli affetti sia per queste persone di fondamentale importanza; tuttavia, ciò non è
sempre possibile, portando questi ultimi a sentirsi vittime di un’ingiustizia che non riescono a razionalizzare.
Come già affermato, la situazione carceraria è sovente connotata da contraddizioni insanabili, ciò è emerso in modo pregnante durante il periodo di emergenza sanitaria; infatti, come sostenuto da Antigone,
associazione per i diritti e le garanzie nel sistema penale, il diffondersi della pandemia Covid 19 ha portato inevitabili conseguenze nel sistema penitenziario.
L’incombere del virus ha comportato per la popolazione reclusa un inasprimento delle restrizioni a cui era già sottoposta: le istituzioni carcerarie sono un luogo di rischio elevato e pertanto necessitano di una
specifica attenzione volta a tutelare la salute tanto dei detenuti quanto degli operatori, idea che ha inevitabilmente condotto ad una sostanziale chiusura per scongiurare la diffusione del contagio che potesse provenire dall’esterno; il carcere è però per definizione il luogo dell’avvicinamento non dell’allontanamento: in questi mesi è stato molto difficile seguire le indicazioni preventive che venivano imposte al fine di ridurre il contagio intramurario e nonostante la chiusura immediata, purtroppo, il virus è
riuscito ad entrare.
Le risposte adottate per far fronte all’emergenza hanno comportato conseguenze eterogenee nei diversi istituti italiani: in alcuni casi è stato possibile instaurare una salda collaborazione fra popolazione detenuta,
personale trattamentale e polizia penitenziaria ma in altri il clima di tensione, ansia e paura è sfociato in atti violenti: nei primi giorni di marzo in circa una cinquantina di istituti penitenziari si sono susseguite proteste
e rivolte, alcune delle quali accompagnate da episodi di violenza talvolta anche molto gravi comportando la morte di 14 detenuti e il ferimento di 59 agenti di polizia penitenziaria.
La scintilla che ha portato a questi tragici eventi può essere attribuibile ad una mancata percezione della pandemia e soprattutto alla chiusura totale degli istituti, sia in termini di colloqui che di sospensione delle attività sociali ed educative, determinando così l’isolamento dalla società e la tragica perdita dei contatti con il mondo esterno.
Tuttavia, è necessario sottolineare come il problema principale permanga il sovraffollamento del sistema penitenziario, il quale ha inevitabilmente inasprito la difficoltà gestionale della pandemia.
Come sostenuto da Michele Miravalle, coordinatore nazionale dell’Osservatorio sulle carceri di Antigone, nel corso della storia penitenziaria del nostro paese vi sono stati solo tre momenti in cui la popolazione detenuta è calata: l’ indulto del 2006, il decreto svuotacarceri del 2013 ed infine il periodo della pandemia tra il 2020 e il 2021; è però opportuno evidenziare come il calo della popolazione carceraria non
corrisponda in alcun modo ad una incisiva diminuzione del sovraffollamento che è rimasto elevato anche nel periodo della pandemia.
Consci del fatto che solo mediante una riduzione della popolazione detenuta sarebbe stato possibile creare migliori condizioni per la tutela della salute delle persone ristrette, sono state adottate e applicate misure indulgenziali quali detenzione domiciliare e affidamento in prova ai servizi sociali con l’obiettivo di facilitare l’uscita di categorie più a rischio, tuttavia le soglie di accesso all’esecuzione esterna permangono per alcuni
detenuti, soprattutto stranieri, di difficile superamento a causa di difficoltà socio economiche, nello specifico la scarsa disponibilità di un domicilio e di una attività lavorativa. Seppur in questo periodo storico le pene alternative siano aumentate, il carcere non è diminuito.
Nonostante allo stato attuale la situazione appaia più contenuta rispetto ai mesi precedenti, è di fondamentale importanza mantenere alto il livello di attenzione poichè in una condizione di sovraffollamento come quella che caratterizza gli istituti penitenziari italiani, il rischio di un improvviso
incremento nella curva dei contagi è sempre presente.
In seguito all’interruzione dei colloqui, sono stati prontamente introdotti correttivi alternativi quali videochiamate attraverso i sistemi di skype e whatsapp che hanno permesso di affievolire in parte il distacco tra il mondo recluso ed il mondo esterno.
Indubbiamente la possibilità di riprendere i colloqui di persona costituisce un importante elemento di ritorno alla normalità, tuttavia, è innegabile come l’ingresso delle tecnologie nel periodo della pandemia abbia rappresentato una svolta innovativa; pertanto, l’auspicio è che tali competenze non vadano perdute ma tuttalpiù integrate con nuove forme di trattamento intramurario che possano avvalersi delle potenzialità educative di tali strumenti.
Un carcere sorge sempre sulle rovine di un carcere, come se vi fossero luoghi per loro natura dediti alla reclusione, sono luoghi isolati, lontani dalla società, luoghi invisibili, enormi buchi neri ricettacolo di tutta
quell’umanità in eccesso che non si vuole vedere nella società.
Tra la popolazione dei reclusi vi è una sempre maggiore percentuale di ristretti che spicca per il suo elevato grado di sofferenza e difficoltà di gestione: da sempre recluse, da sempre stigmatizzate le persone che
soffrono di malattie mentali rappresentano un ulteriore aspetto problematico riscontrabile nelle carceri italiane.
Il carcere è in continuo movimento e ogni giorno la sfida è rappresentata dal saper trovare quell’alchimia che permetta di vivere dignitosamente il periodo di reclusione, tuttavia, l’elevato numero di persone affette da disturbi mentali, problemi psichiatrici o problemi comportamentali difficilmente riesce a sostenere tale precario equilibrio. Essi rappresentano il 15% della popolazione carceraria e sono i maggiori autori delle aggressioni all’interno del carcere.
Il disagio ed il dramma di queste persone sono reali e tangibili: i reparti psichiatrici sono tra i settori di più difficile gestione, sia per la popolazione detenuta che vi risiede, sia per gli operatori con ogni giorno hanno
a che fare con livelli di estrema sofferenza che spesso sfociano in condotte auto ed etero lesive.
Oggi più che mai, ognuno di noi è dunque invitato a riflettere sulla risposta che fino a questo momento abbiamo dato alla sofferenza umana, una sofferenza inalienabile e immanente quale quella della perdita
della libertà.
Parlare di carcere significa parlare di un’umanità dalla bassissima visibilità, abbandonata da un’opinione pubblica che nutre una profonda diffidenza tanto per quei luoghi angusti, così lontani dalla realtà quotidiana, quanto per il degrado umano che li vi risiede; il preconcetto su cui si basa questa visione stigmatizzante del mondo recluso nell’immaginario collettivo è quello secondo cui il carcere sia un luogo
dalle regole proprie, governato da logiche contorte dove il rispetto, il sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è sbagliato e la dignità della persona vengono vissuti in modo diverso: l’idea di fondo è che il male
esista e che il carcere ne contenga recluse un’infinità di espressioni.
L’umanità in rivolta è la foto del carcere contemporaneo, un’umanità che chiede a gran voce che venga rispettato il proprio diritto di apparire contro il non essere considerati nessuno.
Oggi più che mai emerge l’esigenza di contribuire a migliorare questa situazione: indubbiamente il carcere rappresenta un buono strumento di regolazione sociale; tuttavia, allo stato attuale emerge pressante la
necessità di restituire il carcere alla città, portando questo luogo ed i suoi abitanti fuori dalla zona d’ombra in cui era stato relegato, renderlo parte attiva dei contesti in cui è insediato.
E’ dunque auspicabile la creazione di una relazione fertile ed intensa con i contesti urbani e con il paesaggio in cui gli istituti penitenziari sono ubicati, favorendo l’inclusione del mondo carcerario con la comunità esterna.
 
I contesti urbani in cui sorgono gli istituti penitenziari rappresentano un irrinunciabile elemento costitutivo delle modalità più avanzate di concezione della pena, infatti, sia il trattamento rieducativo che l’applicazione delle misure alternative possono rappresentare importanti occasioni di incontro tra l’interno e la società libera, secondo una logica di percorsi trattamentali innovativi di impronta marcatamente inclusiva.
A riprova dell’innegabile utilità di quanto sopra citato, gli istituti dove il tasso di reattività violenta non ha mai superato i limiti durante l’emergenza sanitaria sono proprio quelli in cui la comunità esterna e interna hanno continuato a dialogare, un dialogo da tempo consolidato.
Rovesciando l’antica ideologia di separatezza e reciproca impermeabilità, il contatto con la comunità esterna è innegabilmente uno degli elementi imprescindibili del trattamento.
La possibilità di cambiamento deriva dall’intelligenza, dalla costanza, dalla responsabilità e dall’umanità di ognuno di noi.
Oggi più che mai bisogna cercare il senso della società oltre il carcere.
La galera ha i confini dei nostri cervelli.
 
Riferimenti bibliografici
Buffa, P. (2019). La galera ha I confini dei vostri cervelli. Itaca Edizioni
Ravagnani, L., Romano, C. A., Dassisti, L., & Grattagliano, I. (2020). Le pandemie prigioni–pandemia e
carcere. ITALIAN JOURNAL OF CRIMINOLOGY, 14(4), 269-277.
https://www.antigone.it/
 

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